“Vieni o Maggio t’aspettan le genti, ti salutano i liberi cuori” recitano i versi di una nota canzone anarchica, parole di Pietro Gori, dedicata al Primo Maggio. Una festa rivendicativa celebrata da lavoratori e lavoratrici in tutto il mondo.
È una ricorrenza dal sapore antico che ci riporta alle grandi lotte operaie nella Chicago del 1886, che rivendicavano la giornata lavorativa di 8 ore. Ma, soprattutto per gli anarchici, c’è un legame ancora più stretto: i cinque compagni condannati all’impiccagione, perché alla testa di quella lotta rivendicativa, erano anarchici e proprio nel ricordo del loro sacrificio fu proclamato il Primo Maggio come giornata di protesta internazionale.
Quella della riduzione dell’orario di lavoro è stata una costante nelle lotte rivendicative del sindacalismo di matrice anarcosindacalista, basta ricordare le imprese storiche alla guida dell’indimenticabile anarchico e anarcosindacalista Alberto Meschi, segretario della Camera del Lavoro di Carrara, aderente all’Unione Sindacale Italiana, con grandi scioperi che portarono alla conquista della giornata di lavoro di 6 ore e mezzo per i cavatori e per i minatori, già prima del fascismo; un primato nel mondo in quei tempi.
Oggi la tecnologia, più o meno intelligente, avanza ad altissima velocità sostituendo la mano d’opera che la crea e procurando disoccupazione, mentre il padronato si riempie le tasche di quei profitti. Per cui la riduzione dell’orario di lavoro è un tema di estrema attualità.
Le cause della depressione nel movimento dei lavoratori e delle lavoratrici
Oggi abbiamo una classe lavoratrice delusa e demotivata: tutte le importanti conquiste degli anni ‘70, ottenute grazie allo scavalcamento da parte della base operaia delle burocrazie sindacali, hanno dato una grande forza, capitalizzata dalle stesse Centrali Sindacali verticistiche che poi hanno successivamente svenduto quelle stesse conquiste in cambio di potere. Tutto questo ha determinato precarizzazione sul lavoro con il proliferare di appalti e sub-appalti, contratti a termine, false partite IVA, cancellazione dell’articolo 18, cancellazione della scala mobile, riduzione del diritto di sciopero e di tutti i diritti in generale, per cui oggi abbiamo in Italia il record europeo dei salari più bassi e dei morti sul lavoro più alto.
Tutto questo ha anche progressivamente sviluppato all’interno della classe lavoratrice e in larghi strati della popolazione quel virus mortifero che si chiama rassegnazione, anche quelle sacche di resistenza più avanzate spesso ne subiscono l’influenza. L’evoluzione conseguente si è soprattutto manifestata nella progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni come dimostra il forte rifiuto al voto, con picchi superiori al 50%, ma senza innescare, al di là del brontolio diffuso, quella ribellione necessaria per affrontare i problemi fondamentali del nostro tempo: la forte riduzione dei diritti nei luoghi di lavoro e nella società, con l’aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali tra chi continua ad aumentare le sue ricchezze e chi progressivamente aumenta la sua povertà; la progressiva crescita degli investimenti per le politiche di guerra verso uno scenario sempre più apocalittico di una guerra globale e nucleare, soprattutto in due punti nevralgici: nello scontro fra Russia e Nato in Ucraina e in quello più recente fra Iran e Israele.
In questo scenario mondiale in cui l’industria e il commercio delle armi la fanno da padrona garantendo profitti astronomici, e la politica si esprime con una sola voce, quella della guerra e dell’economia di guerra, si sono create in Italia le condizioni ideali per portare le destre al governo. Un loro sogno che si realizza, a lungo covato, da quando cacciati dalla lotta di liberazione furono graziati dall’opportunismo di togliattiana memoria, mentre gli anarchici premonitori gridavano “I perdonati non perdonano”. Inebriati dalle posizioni del potere politico conquistato, le destre di governo si trovano in perfetto agio in un mondo in cui il linguaggio della guerra è quello prevalente. infatti, la presidente Meloni è sempre in prima linea a sostenere il conflitto, dall’Ucraina alla Palestina. Un governo che inasprisce tutte le leggi già repressive e con interpretazioni sempre più restrittive, come ha fatto il ministro Salvini, applicando ulteriori limitazioni alle norme che regolano lo sciopero nei trasporti. Ne consegue l’utilizzo del manganello facile verso gli studenti che protestano o lavoratori che osano rivendicare i propri diritti con i picchetti ai cancelli, la militarizzazione dei territori o l’ingresso nelle scuole di soggetti in divisa per promuovere l’arruolamento nell’esercito, la criminalizzazione di chi in modo più radicale protesta contro la deriva ambientale e, infine, il tentativo di rifare la storia.
Per un Primo Maggio rivendicativo e di lotta
L’Unione Sindacale Italiana ha proclamato lo Sciopero Generale nella giornata del Primo Maggio, soprattutto come risposta al fatto che il mercato sta sempre più trasformando questa giornata di rivendicazione in giornata di lavoro non necessario. Oggi più che mai è necessaria la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, contro la precarietà e le condizioni di ricatto nei luoghi di lavoro che sono la causa principale degli infortuni e delle morti, per un salario adeguato al costo della vita, risucchiato da una inflazione conseguenza dell’economia di guerra, contro le spese militari a discapito di sanità, scuole e diritto all’abitare, contro tutte le guerre e il pericolo di una terza guerra mondiale sotto la spinta di grandi profitti garantiti dalla produzione delle armi e del loro commercio.
Dobbiamo dare una risposta alla frantumazione derivata dalla convergenza tra la politica delle Centrali Burocratiche Sindacali, con i rispettivi partiti, e le ristrutturazioni padronali volte a disgregare la forza lavoro per il suo massimo sfruttamento. Questo partendo dai punti di maggior resistenza presenti come quello dei coordinamenti dei sindacati di base e conflittuali con obbiettivi condivisi che, pur con alti e bassi, sono riusciti a proclamare 4 scioperi generali unendo obbiettivi di rivendicazione sindacale con quelli dell’opposizione alla guerra. Mobilitazioni che hanno rappresentato un punto di riferimento importante e trainante per tutta l’opposizione sociale. Oppure nel settore della logistica dove si sviluppano lotte spesso difensive con una conflittualità a volte molto radicale come ai tempi migliori dell’opposizione di classe. Ci sono anche situazioni in cui il sindacalismo conflittuale raggiunge livelli maggioritari anche se il clima generale non consente il salto decisivo. Ci sono mobilitazioni in continua crescita contro le fabbriche di armi, contro le basi USA – NATO, contro le politiche di guerra del governo. Ci sono le mobilitazioni degli studenti contro le politiche guerrafondaie e per fermare l’olocausto del popolo palestinese. Ci sono lotte rivendicative nei territori con occupazioni per il diritto alla casa e di spazi vuoti, per la loro socializzazione. Ci sono lotte radicali per la difesa dell’ambiente. C’è anche un risveglio dell’antifascismo di classe evidenziato anche dalle mobilitazioni in solidarietà con Ilaria Salis e i compagni e le compagne coinvolte nei medesimi fatti.
Tutto ciò si scontra con atti di repressione propri di tutti i governi, ma quello attuale delle destre eccelle su tutti. È molto importante che tutte queste energie compongano un mosaico tale da formare un ariete che faccia breccia nelle possenti mura del potere economico e politico. Che questo Primo Maggio 2024 sia di svolta e di rivolta. Un Primo Maggio in cui i temi delle rivendicazioni sindacali si associno con quelli dell’antimilitarismo e contro la guerra, e con quelli delle rivendicazioni climatiche in un unico incastro.
Enrico Moroni